Greta Thunberg non ha vinto il premio Nobel per la pace. Ti dirò, unico lettore (io): secondo me va bene così. Alla fine, che lei lo voglia o meno, in queste circostanze è una figura divisiva, e a mio avviso stonerebbe con quello che io concepisco come simbolo di pace, unione, collaborazione. Forse è anche perché nel movimento che ha ispirato non vedo ancora una direzione ben ragionata. Leggo però addirittura di gente che festeggia per questo motivo. Addirittura festeggiare? Mi sa tanto di overreaction, e come tutte le overreaction, di coda di paglia.
Le iperboli di irrazionalismo di chi si ostina a negare la responsabilità antropica nei cambiamenti climatici (e parlo di persone che avrebbero le risorse intellettive per capire, ma sono bendati dall’ideologia) sono commoventi, e le derubricherei alla stessa patetica non-rilevanza degli antivaccinisti più creativi se non fosse che, come alternativa all’immobilismo nei confronti delle possibili azioni di mitigazione e adattamento, rischiano di lasciare completamente la palla in mano a forme di ambientalismo semplicistico e molto politicizzato.
Alla fine, gli attivisti afferenti a certe ideologie sono gli unici che si stanno occupando attivamente di un problema che i ricercatori denunciano da decenni, pur con i loro problemi a raggiungere l’opinione pubblica. Un problema che di per sé, nella sua nuda enunciazione, è fattuale: l’impatto ambientale delle azioni umane negli ultimi secoli si è tradotto anche nel surriscaldamento del pianeta. E questo surriscaldamento avrà (sta già avendo) conseguenze che rischiano di mettere a repentaglio gli equilibri di molte comunità umane (se proprio vogliamo far passare in secondo piano le specie non umane).
Sì, volendo uno potrebbe leggerci un atto d’accusa contro il capitalismo, il libero mercato e quant’altro; ma questo è solo eventualmente un corollario del problema in sé. Ci sta che qualcuno cerchi un colpevole, e ci sta che il colpevole cerchi di negare o minimizzare la propria responsabilità. Ma intanto bisogna smetterla di far finta che il problema non ci sia (magari facendo riferimento alle supercazzole di pochi presunti esperti che poi tanto esperti si rivelano non essere).
A me piacerebbe che ci fosse un confronto più equilibrato sulle responsabilità (potevamo davvero fare diversamente? avevamo i mezzi per accorgerci di quello che sarebbe successo? è possibile adottare un altro sistema o alla fine dei conti è meglio tenerci questo e metterci una pezza in qualche altro modo?) e sulle soluzioni. Non sono tranquilla sapendo che il dibattito sulle policy ambientali papabili include alcune voci dell’ambientalismo/animalismo estremista, che credono che adottando solo energie rinnovabili il problema sarà automaticamente risolto, o propongono cambiamenti di stile di vita che sono irrealizzabili; facciamo fatica a stare a dieta quando c’è in ballo nostra salute, come pensiamo di proporre un drastico cambiamento alimentare a tutta la popolazione? C’è chi dipende dall’auto per lavorare, come possiamo pensare di metterli tutti a piedi dall’oggi al domani?
E non mi piace neanche che la questione delle emissioni diventi uno slogan da campagna elettorale gadget pubblicitario con cui determinate aziende ammiccano al pubblico, quasi fosse una moda del momento. Il problema è complesso e ogni soluzione si porta dietro altri problemi. Sarebbe un gran bene che i pro e i contro di ogni policy proposta venissero sviscerati da voci ideologicamente diverse: in democrazia è normale, anzi direi sano non essere d’accordo sugli interventi di policy in risposta a un problema urgente. Ma finché chi appartiene a una certa ideologia adotterà come strategia quella di negare l’esistenza del problema, le soluzioni saranno proposte solo da chi lo riconosce, e quindi sbilanciate dalla parte opposta.
Tutto questo per dire ai negazionisti che è inutile che si lamentino tanto del fenomeno Greta e di eventuali interventi eccessivi che potrà comportare: in fondo, sono loro che hanno creato tutto questo.
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